Aprile 2004 - del Prof. Franchino Falsetti

Il presente come azione. “Il mio scopo non è di arrivare in un posto preciso, mi basta il viaggio”. Una citazione del compositore John Cage riferita dall’amico Rauschenberg ad Alain Sayag nel 1981 che possiamo assumere quale sintetico “manifesto” della “beatnik generation” e, in senso stretto, dell’estetica pop, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso.
Scrive, infatti, Gilles Deleuze: ”La maggior parte della nostra vita appare soggetta a una parossistica riproduzione di oggetti di consumo; insomma l’arte deve essere inserita in questo contesto, in modo da estrarvi quella piccola differenza che agisce simultaneamente tra gli altri livelli di ripetizione”.
E’ la cultura dell’attivismo in ogni direzione da quello civile a quello artistico e musicale.
Franco Cioni, nella sua produzione artistica, interpreta questa ideologia della destrutturazione e della rottura della cultura simbolica.
Si sente coinvolto emotivamente dall’azione come filosofia del presente e si sente altrettanto sedotto dalle formule della non-arte: “new realism”, “commonism”, ”new vulgarianism”, ”combine-paintings”.
Cioni, sembra realizzare, come si può cogliere nel quadro “Agire,ecco la vera intelligenza”- olio su tela, quanto André Parinaud dichiarava in un’intervista del 1961, a proposito del combinare elementi diversi, senza un’apparente ordine logico-contenutistico-strutturale:
”Non c’è una ragione precisa, i pittori usano i colori, che di per sé sono oggetti. Io voglio solo inserire nel quadro cose che appartengono alla vita di tutti i giorni”.
Nella vita di tutti i giorni viviamo le contraddizioni e le “nevrastenie” della quotidianità: una sorta perenne di dissociazione tra sogno e new reality, tra realtà e fumetto, quel mondo fatto di strips e di solo presente, di cui si compone la tavolozza creativa di Franco Cioni .



Maggio 2004 - di Annalisa Tre

L’inconsapevole fuga di Franco Cioni. Franco Cioni, comunicatore scientifico bolognese e artista autodidatta, ha tenuto una sporadica, ma determinante frequentazione nello studio di Piero Barducci, che gli ha chiarito la propria identità artistica. Fa parte dell’associazione “Senza Titolo”.

Inizialmente, dai lavori di questo artista, evidentemente votato ad un realismo di tipo cinematografico, si evince quasi un inno alla modernità. In realtà, ciò che Franco Cioni messaggia attraverso le sue opere, è l’esatto contrario: purtroppo a suo avviso, la natura (della terra, delle cose, dell’uomo) è ormai confinata agli “orli del mondo”. L’ansia, l’angoscia, il passaggio, l’attesa, il dubbio, la paura, l’inedia, l’annichilimento, sono elegantemente raccontati in queste tele che appaiono, forse, come situazioni normali o come frangenti in una vita di tutti quei giorni, futuri prossimi possibili…
Questa familiarità con l’universo di immagini di Cioni deve, però, far pensare: la probabile denuncia che fa con il suo lavoro, è talmente ben celata, che scappa al primo esame. Istintiva e sottile a tal punto da ritrovarla specchiata nel suo contrario. Questi suoi mondi prendono così magicamente vita e sembrano urlare sommessamente, mai trattenuti e un po’ strozzati, da un dolore subdolo e costante che li affligge: un intimo malessere che li spaventa e li devasta, a cui sono costretti. Come per scommessa. Come per gioco. Come in quel Ritratto famoso. Casualmente o di proposito, le opere di Cioni, vi si prestano. Senza pretese di denuncia, appunto.
In effetti, queste “matrici visuali” vengono create con un intento di assoluta obbiettività da parte dell’artista, in modo da colpire l’attenzione dell’astante, soprattutto, per lo sviluppo di evocativi cromatismi (con una sorta di tensione psicologica data dall’implosione dei colori), per la presenza-assenza dei “personaggi”, per le ambientazioni in metropoli e pseudo-periferie postindutriali, per la raffigurazione di quell’altrove che è invece lo spazio dove consumare quotidianamente l’esperienza di vivere. …congelata nell’atto di guardare.”
Osservando le opere di Cioni ci si ritrova, in pochi istanti, catapultati davanti ad un frame di pellicola. Ad una velocità sinaptica ne ricaviamo un racconto, il quale crediamo – vogliamo – sia il più congruo.
Un fermo immagine, a volte spiazzante, che ci permette di costruire inspiegabili storie. Di immediato fascino. Di inconsapevole fuga.




Settembre 2004 - del Prof. Franchino Falsetti

La "perfomance ideativa" di Franco Cioni è il calco della fuggente quotidianità ed idealizza gli attimi di un vivere "spezzato". Questo specchio di identità anonime e perdute diventa il collante delle nuove coscienze.


Ottobre 2004 - di Simona Solito

Il male di vivere è tematizzato nelle opere di Franco Cioni. Una pittura senza tempo che, in un racconto disincantato, rappresenta la fuga dalla modernità e la dissoluzione dello spazio post-industriale.



Gennaio 2005 - del Prof. Franchino Falsetti

L’agire immaginativo di Franco Cioni pone nell’osservazione e registrazione dell’esistente fenomenico, una particolare centralità, che ne connota l’intera produzione artistica. Questa centralità che potremmo definire “campo d’invenzione di metafore visibili”. Quelle metafore che amplificano i sensi della quotidianità contraddittoria e rendono quasi “deformante” i campi di esperienza, in cui vivono i suoi protagonisti , senza desideri ed oppressi da una nuova forza perturbante d’esistere. Si notano i ritorni dell’antico “taedium vitae”, che imprigiona l’uomo privandolo delle fondamentali tensioni che lo rendono libero ed autonomo soggetto del conoscere senza ambiguità e condizionamenti consumistici o artificiali.
Franco Cioni è un testimone di questi “cascami” culturali e nello stesso tempo si sente coinvolto emotivamente dall’azione come fenomenologia dell’essere e la pittura sembra fotografare gli attimi del presente che si stemperano nell’angoscia della quotidianità.
Le immagini prodotte sono, infatti, fotogrammi sfuggenti, istantanee della frenetica corsa dei protagonisti: donne giovani ed avvenenti che sfidano anonime città o ambienti fatiscenti; volti di uomini vecchi o giovani che esprimono la sofferenza dell’incognito o della inutilità di una vita spezzata agli angoli delle strade delle desolate periferie delle megalopoli industriali.
Franco Cioni è fedele ad un realismo di tipo americano fumettistico-cinematografico di scuola Hopperiana. Questa scelta, nata attraverso molteplici esperienze artistiche, coglie,con significativa efficacia, tutta la problematicità della nostra epoca.
Lo sguardo semiotico rivolto agli oggetti e alle figure senza tempo, stigmatizza il malessere diffuso dei protagonisti: tutto è avvolto dall’indeterminatezza degli ambienti, dalle atmosfere funamboliche e dalle “invenzioni” cartoonistiche della realtà.
Le sensazioni che si provano di fronte alla pittura di Cioni sono pari allo stato di disagio che si prova di fronte all’entrata di un tunnel di cui non si conosce il percorso. Il tunnel rappresenta l’incognito e l’avventura dell’esperienza.
La pittura di Franco Cioni si fa percorso di “verità” fenomeniche, avventura della conoscenza e specchio della schizofrenia dell’esistenza negata dagli eccessi della modernità tecnologica e cablata.
Gli scenari non sono definiti, ma assumono la caratteristica delle impalcature, di assemblaggi architettonici, che richiamano lo stato del provvisorio, della precarietà e della instabilità. Tutto questo come inestricabile binomio con le figure che in modo sfuggente,di profilo o capovolte senza volto, “animano” freddamente le sequenze della “presenza dell’assenza”. Questo concetto dell’assenza è il perno della produzione artistica di Franco Cioni.
E’ l’assenza l’esprit del post-moderno: una sorta della cognizione del dolore esistenziale in cui vivono tutti i personaggi scelti. E’ la dimensione dell’uomo standard e robotizzato che appartiene alla cultura del villaggio globale e che cerca una sua identità negli automatismi espressivi, riflessi negli oggetti inanimati e freddi della realtà estraniante e delle memorie virtuali.
L’arte diviene, in questo disordine culturale, l’arma per riflettere e per discutere le antinomie presenti nella società contemporanea e nelle ideologie dei processi di comunicazione. Franco Cioni nel suo sentirsi parte integrante di queste conflittualità tende a stigmatizzare il male oscuro del XXI secolo: il trionfo del nulla, del non–pensiero e della menzogna.
“Tutti sappiamo che l’arte non è verità. L’arte è una menzogna che ci insegna ad afferrare la verità, quella verità almeno che come uomini siamo in grado di afferrare. L’artista deve sapere in che modo può convincere gli altri della verosimiglianza delle sue bugie”. (P. Picasso)



10 febbraio 2005 - di Carolina Lio

Colori opachi. Una nuova figurazione incerta, lasciata volutamente sfocata. Tratti del viso imprecisi per rendere l’idea della tensione. Sono questi i caratteri principali delle tele del pittore e agronomo Franco Cioni (Bologna, 1959). I suoi soggetti sono donne dagli occhi di ghiaccio, uomini dal portamento sicuro, scene di fuga e ambienti privati e sofisticati con splendide ragazze in abiti da sera. L’impressione è che si tratti di tavole d’illustrazione per romanzi americani di spionaggio anni ’70, e l’effetto è aumentato dalla scelta di titoli come I was afraid he might have killed her e Protection, zona pericolosa. Le dimensioni, spesso e volentieri su scala reale, aiutano ulteriormente il visitatore a sentirsi parte della storia in corso o, per lo meno, a fargli immaginare di essere su un set cinematografico di un remake di James Bond.
Buona parte delle opere esposte in quest’ultima personale sono incentrate sul tema della fuga. Che si svolge in spazi urbani e ha come protagonisti eroi ed eroine affascinanti e dall’espressione decisa. E si direbbe una vera e propria evasione dalla città, costruita in modo impersonale, senza altre presenze umane, priva di colori, monumentale e senza segno di vita. Con la sua vuotezza inanimata essa è la metafora dell’ambiente sociale freddo e inospitale da cui Cioni vorrebbe isolarsi, lasciandosi alle spalle tutti i caratteri che compongono le sue scenografie. Dalla robotizzazione, alla tirannia tecnologica, alla solitudine degli abitanti, alla dedizione all’apparenza, fino all’artificialità e la menzogna.
In Agire, ecco la vera intelligenza e in Escape yuorself la fuga è tentata a piedi, scavalcando e sfidando le strutture architettoniche della metropoli industriale, che diventano mano a mano più oppressive e sembrano essere infinite. In La fuga e La donna dagli occhi verdi l’impresa si svolge in macchina, e sembra che ad inseguire i protagonisti sia il tempo. O magari lo stesso cosiddetto progresso. In entrambi i casi non si riesce mai a scorgere l’uscita di quello che sembra essere un vero e proprio labirinto, privo di orizzonti e ricco di insidie. Perché la fuga dal futuro è sempre e comunque destinata a fallire.

mostra visitata lo 8 febbraio 2005



Ottobre 2006 - Versioni del reale - di Fabio Tedeschi


La pittura dell’artista bolognese Franco Cioni si può inquadrare in un moderno realismo, vale a dire in un indirizzo stilistico che si propone la più stretta aderenza al reale ed è riferibile a diversi momenti della storia dell’arte, a cominciare dall’identità oggetto-immagine propria dell’arte primitiva, fino a comprendere tutte quelle espressioni artistiche veriste, in cui prevale il dato concreto e reale della visione appena intravista.
Franco Cioni fotografa il fascino delle inquadrature occasionali, con in primo piano l’uomo o la donna, mentre si avventurano nella routine del quotidiano, come il dipinto “Dhany & Thomas”, madre e figlio che attendono l’autobus per il ritorno a casa.
Per Cioni, la pittura è un tessuto d’indagine, di scoperta e di presentazione della realtà contemporanea, che stimola l’osservatore ad intavolare un discorso sulla realtà quotidiana; su quella realtà della gente anonima che troppo spesso sfugge alla nostra attenzione.
Nelle sue composizioni il colore assume una dimensione preminente: colore che è istante emozionale ed allusivo, nel quale sono riconoscibili gli elementi caratterizzanti la società tecnologica avanzata (come nel dipinto”Le ciminiere”).
Franco Cioni si pone in una posizione di aperta dialettica con le strutture della modernità tecnologica e ne denuncia i problemi esistenziali.
I dipinti dell’artista, improntati ad un verismo di sapore attuale, densi di contenuti formali e tematici, costituiscono un esempio di pittura della verità, una pittura chiaramente leggibile per nitidezza di costruzione, per il dinamismo coloristico e per le scansioni tra luci ed ombre che confortano la visione, spesso in movimento e la fa intendere nei suoi significati esistenziali.
Pittura di forma, ma anche di contenuto: figure ed inquadrature desunte da una realtà oggettiva, per la quale si crea quel rapporto “uomo-tema”, che sta alla base della comunicatività di un’opera d’arte.



Aprile 2008 - "Come dentro un film" – mostra c/o Pizi Arte - di Joseph Fekete

In questa personale dal titolo " Come dentro un film" Franco Cioni ci trasmette,con le sue tele sfocate, fotogrammi di vita cittadina, visi di donne giovani ed attraenti come a volte ci capita di incrociarle mentre nella nostra città,ma vale per tutte le città del mondo, ci rechiamo alla fermata del tram o alla più vicina stazione della metropolitana. I volti ti colpiscono, ma tu vai avanti perchè l'ora è tarda,il tram non aspetta. Raggiunto il capolinea comincia l'attesa e tu con la memoria vai a ritroso e cerchi di ricordare i visi incrociati Volti visti tante volte; li hai visti scorrere davanti ai tuoi occhi. Chiudi gli occhi e vorresti ricordarli nitidi nei piano - sequenza che ti hanno colpito. Ti appaiono ricordi in bianco e nero che ti immergono nei meandri della memoria e temi il rischio che tutto possa sfumarsi nella mente. Poi ti fermi, riapri gli occhi, ti guardi in giro, le opere di Franco Cioni sono lì appese alle pareti della galleria e ti stupisci di quanto sembri naturale l'assenza del colore e allora condividi ciò che l'artista bolognese dice di se : "La mia pittura offre un racconto disincantato di quell'altrove che è invece lo spazio dove consumare quotidianamente l'esperienza di vivere. Dipingo in modo realistico persone attonite, persone che si fermano a riflettere, che hanno paura o che fuggono da metropoli industriali. I miei personaggi si proteggono dal mondo o si allontanano, scappano, inseguiti da un misterioso ed oscuro nemico, che purtroppo però si è insinuato inconsapevolmente all'interno delle loro menti. In sincerità vorrei realmente che metaforicamente fuggissero, ma dal vuoto che ci circonda, di cui sono pieni i mass media. Da quell'assenza che, dal silenzio più profondo e plumbeo in cui siamo immersi, ci grida di ritrovare noi stessi." "Come dentro un film".



Novembre 2009 - Impressioni - Alberto Bonacina

Negli orizzonti di un presente buio, il corpo, àncora del pensiero, trattiene gli slanci di vite vissute in metropoli indifferenti. Non c’è sole in queste strade dove le persone non s’incontrano mai; grigie vie in cui alla febbrile caoticità quotidiana si oppone la solitudine di gente senza sogni, raramente accesa da un sentimento di aspettativa e fiducia verso ciò che l’aspetta.
Ma senza i suoi sogni, ogni uomo perde la sua individualità e il suo stato d’animo muta, scivolando nella disillusione. Gli eventi cominciano a scorrere con inerzia, mentre le cose non cambiano.
C’è una cosa che può raffigurare tutto questo: l’anonimo protagonista di un quadro.
Lui non si sente più distante dal mondo mentre lievita nella sua assenza. Non prende più parte a conversazioni in cui i valori sono relegati sempre più in basso. Dimentica il suo volto e non si appassiona a una realtà che non ha sapore.
Nel mondo in cui viviamo la solitudine ormai si specchia nelle nostre strade d’asfalto. Per questo, ora, anche l’arte deve chiudersi in se stessa e non dare risposte: deve sfiorire, come è avvenuto nei quadri senza voce di Franco Cioni.